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Sulle barriere architettoniche la maggior parte dei Comuni continua ad essere “fuorilegge”

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Bisognerebbe finalmente convincersi della necessità di progettare senza barriere, adottando un approccio in grado di superare il binomio barriera/disabilità e di considerare la diversità degli individui sin dall’origine del progetto, prendendo in considerazione le specifiche esigenze di tutti gli utilizzatori.

Il legislatore nazionale introdusse nel lontano 1986 l’obbligo di dotarsi di un Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA), senza fornire però indicazioni specifiche per la sua redazione.

La legge 41/1986 (articolo 32, comma 21) aveva infatti previsto che le amministrazioni competenti (in particolare i comuni, ma non solo) adottassero, entro un anno, Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA) relativamente agli edifici pubblici non ancora adeguati alle prescrizioni relative all’accessibilità.

Successivamente, nel 1992, la legge 104/1992 (articolo 24, comma 9) aveva imposto che i PEBA fossero modificati con integrazioni relative all’accessibilità anche degli spazi urbani, con particolare riferimento all’individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all’installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone con disabilità.

Di fatto però, dopo quasi quarant’anni, un numero significativo di amministrazioni non ha ancora -scandalosamente- predisposto i PEBA, senza considerare che anche quelle che si sono dotate di tali strumenti di programmazione, non li hanno ancora attuati o li hanno attuati solo parzialmente.
Sono pochi insomma i comuni che dopo aver elaborato il proprio PEBA l’hanno usato per i successivi interventi di rimozione delle barriere su edifici e percorsi.

E così l’Italia continua ad essere un “Paese ad ostacoli” per milioni di persone, un Paese che continua a negare diritti e a persistere nel suo essere “fuorilegge”.

Basti pensare alle condizioni in cui versano le nostre scuole: secondo i dati dell’ISTAT le scuole sono sistematicamente inaccessibili agli studenti con disabilità sensoriali (98%) e motorie (66%): https://www.istat.it/it/files//2022/12/Alunni-con-disabilita-AS-2021-2022.pdf.
E che almeno il 30,6% delle 5.616 scuole in Italia (36,8% al Sud, 53,8% nelle Isole) esaminate nei 94 capoluoghi di provincia ha poi necessità di interventi di manutenzione straordinaria e antisismici, secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Legambiente: https://www.legambiente.it/rapporti-e-osservatori/ecosistema-scuola/.

Di tanto in tanto ci si ricorda della permanenza diffusa di queste barriere, della condizione di “fuorilegge” nella quale versano migliaia di comuni (e non solo) e qualche tentativo di cambiare rotta viene messo in piedi: nella Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2023 è stato finalmente pubblicato il decreto del Ministro per le disabilità che attribuisce alle regioni e province autonome le risorse per la progettazione di Piani per l’eliminazione delle barriere architettoniche e per il finanziamento di un progetto a sostegno della mobilità delle persone con disabilità (la dotazione complessiva è di 12.660.000 € provenienti dal «Fondo per l’inclusione delle persone con disabilità» istituito nel dicembre del 2021).

Ma siamo ben lontani dall’avere finalmente tutti i comuni dotati di PEBA e continuiamo impassibili a non rispettare e a non far rispettare una legge in vigore dal lontano 1986. Anche perché non sappiamo neppure quanti e quali sono gli Enti locali inadempienti.
A certificarlo di recente è stata la ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, rispondendo ad un’interrogazione a prima firma del deputato D’Alfonso: https://www.camera.it/leg19/410?idSeduta=0122&tipo=stenografico.

E così è ancora una volta un tribunale a dover intervenire.
Su un ricorso promosso dall’Associazione Luca Coscioni, il Tribunale di Roma, con un’ordinanza che non ha precedenti, ha stabilito per la prima volta che la mancata adozione e approvazione del P.E.B.A. da parte delle amministrazioni comunali rappresenta una condotta discriminatoria indiretta attuata in forma collettiva nei confronti delle persone con disabilità. Per il Tribunale, infatti, il Comune di Pomezia ha adottato il P.E.B.A. con notevole ritardo, ossia solo a maggio 2022, il che non gli ha consentito di procedere alla ricognizione delle barriere architettoniche presenti sul suo territorio e alla conseguente programmazione degli interventi volti alla loro rimozione.

Tale ritardo, scrive la Giudice, “incide sui diritti dei disabili, con realizzazione di una condotta da parte dell’amministrazione comunale in concreto svantaggiosa e discriminatoria per gli stessi”.

Il Comune di Pomezia è stato dunque condannato a cessare il comportamento discriminatorio mediante la rimozione entro il 30.12.2023 delle barriere architettoniche indicate nel ricorso, previa adozione, entro il 30.06.2023, di un piano di rimozione delle stesse da adottare sentita l’Associazione Luca Coscioni (sul sito dell’Associazione sono riportati tutti i casi affrontati e risolti e quelli in itinere).

Grazie a questa ordinanza emessa dal Tribunale di Roma, sarà dunque possibile rivolgersi ora alla giustizia civile per costringere i Comuni a monitorare e a censire tutte le barriere architettoniche e sensoriali presenti sui loro territori e a programmare nel tempo gli interventi necessari alla loro rimozione. Anche coinvolgendo l’Associazione Luca Coscioni che si batte da anni per la libertà di tutte le persone disabili, attraverso numerose attività, iniziative e campagne che è possibile scoprire con un clic alla seguente pagina tematica: https://www.associazionelucacoscioni.it/cosa-facciamo/diritti-dei-disabili/.
A questo link, informazioni utili per scaricare la App “No barriere”: https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/comunicati/scarica-la-app-no-barriere/”.

Giovanni Caprio


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